Spesso vediamo la vergogna e il sentirci in colpa come emozioni che ci impediscono di vivere la serenità che vorremmo, e qualche volta vogliamo fuggire a tutti i costi da queste emozioni.

Immaginiamo una persona che è fortemente infastidita per la presenza di spie accese nel cruscotto della sua auto, e che per liberarsi del problema passi la sua vita vendendo l’auto e comprandone una nuova. Ci comportiamo nello stesso modo ogni volta che pensiamo che la vergogna o la colpa (e molte altre emozioni che sperimentiamo come spiacevoli) siano “spie emotive da cui fuggire”. Ci focalizziamo a trovare dei sistemi per liberarcene, anziché fermarci e cercare di capire cosa queste emozioni vogliono dirci.

Vergogna e senso di colpa ci stanno segnalando che qualcosa dentro di noi ha bisogno di un’attenzione particolare, così come le spie del cruscotto segnalano qualche “bisogno” dell’auto. Portare una certa qualità di attenzione a queste emozioni significa divenirne consapevoli, il che non implica farsi guidare da queste emozioni, piuttosto solo ascoltare cos’hanno da dirci.

Credo che uno degli scopi della vita sia divenire consapevoli di sè, degli altri e della vita.

C’è una naturale vulnerabilità in ogni essere umano, visibile fin da bambini, che può essere vista come un regolatore della nostra interdipendenza con l’ambiente. Le spie della vergogna e della colpa ci ricordano che tutti abbiamo bisogno, per esempio, di rispetto, di integrità e comunità. Di solito proviamo vergogna e colpa quando sono stati messi a rischio dei bisogni umani universali.

Ciò che pensiamo quando proviamo queste emozioni, raramente ci è di aiuto nell’individuare i bisogni insoddisfatti che abbiamo.
Per esempio: se vediamo nostro figlio agire un comportamento che arreca un danno a qualcuno, possiamo provare vergogna e colpa mentre ci diciamo: “Dove ho sbagliato?” oppure “Non sono un buon genitore“. Quando siamo stanchi di incolparci e di vergognarci, allora cambiamo il destinatario della colpa, iniziando a incolpare nostro figlio e arrivando così alla rabbia: “Ma si può essere così idioti?” oppure “Ti sei comportato in un modo davvero irresponsabile!“.

Sotto la pressione della rabbia, a volte agiamo dei comportamenti che non mostrano sufficiente cura e attenzione verso gli altri. Nel caso del figlio, sulla spinta della rabbia per ciò che pensiamo di lui o di ciò che ha fatto, possiamo agire dei comportamenti che rimpiangeremo perché non sono in linea con il tipo di genitore che vorremmo essere; in questo modo riattiviamo il circolo, ripartendo dalla vergogna e la colpa verso noi stessi.

Se per esempio abbiamo minacciato nostro figlio, o lo abbiamo punito, o abbiamo preteso in qualche modo che lui capisse che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in lui, molti di noi iniziano a provare vergogna e senso di colpa pensando di essere un genitore troppo rigido, poco comprensivo o incapace.
Sono un genitore e mi accorgo che rischio di bloccarmi oscillando tra vergogna-colpa-rabbia; meccanismo descritto così chiaramente da questo genitore: “A volte mi sento così permissivo da odiare i miei figli, e poi divento così punitivo da odiare me stesso“.

Questo sistema di oscillazione tra colpa/vergogna e incolpare gli altri, tra il pensare che c’è qualcosa che non va in me e il pensare che c’è qualcosa che non va negli altri, è basato su una mentalità che è stata tramandata dalla nostra cultura negli ultimi ottomila anni.

Mi è stato di grande aiuto sviluppare una Consapevolezza Basata sui Bisogni, che significa imparare a leggere le mie emozioni come delle spie che mi sostengono nell’individuare ciò di cui ho bisogno. Posso così usare la forza delle mie emozioni per agire dei comportamenti che si prendono cura di questi miei bisogni, piuttosto che rimanere bloccata nel modo di pensare che ci sia qualcosa di giusto o di sbagliato, e che ci sia qualcuno che va punito. Ogni volta che mi collego con i bisogni dietro alle mie emozioni di vergogna e colpa, queste emozioni si trasformano, il mio clima interiore cambia, e diventa per me più facile comunicare serenamente con gli altri, con me stessa e entrare in armonia con la vita.

Non è stato difficile imparare a creare una vita in armonia: il primo passo, per me, è stato quello di sviluppare un linguaggio capace di descrivere i processi interni miei e degli altri, piuttosto che mantenere il linguaggio abituale che avevo, intenzionato a valutare ciò che è giusto e sbagliato. Questo ha richiesto di sviluppare un nuovo modo di pensare e l’interesse e la volontà di esplorare la visione della natura umana. Questo è ciò che viene proposto dall’approccio della Comunicazione Nonviolenta e che ho trovato profondamente utile per me.